I Fuggiaschi
Spostò cautamente i rami che gli si paravano davanti, guardingo. Stava per fare un passo, quando qualcosa lo fece indugiare: un tonfo, un rumorio, un colpo di tosse.
“Accidenti” mormorò Primo. Si voltò, sporgendo il braccio destro con un movimento deciso, finché con la mano non fermò l’andatura tutt’altro che silenziosa del suo compagno di ventura.
“Quale parte, esattamente, di ‘non fare rumore’ non ti è chiara, Settimo?” sussurrò Primo, guardando l’altro negli occhi. Il compagno osservò confuso il dorso della mano di Primo che aveva arrestato la sua avanzata. “Guarda che sono silenziosissimo” rispose Settimo convinto e soave, riassestandosi gli occhialetti sul naso. Primo lo guardò con aria incredula. Rimase per qualche attimo fermo, indeciso se schiacciargli un alluce a rallentatore, per non fare altro rumore, o se proseguire nella ricerca della direzione. Sospirò, il più sommessamente possibile, lanciando un’ultima torva occhiata al compagno, e poi tornò sui suoi passi. Fece segno di seguirlo, sperando che i movimenti dell’amico sarebbero stati più discreti.
Zigzagarono tra gli alberi, finché un fruscio poco lontano non lo fece arrestare di colpo, con Settimo che rimbalzò sulla sua schiena. Primo si voltò con sguardo esasperato.
“Ehi” sussurrò Settimo “ti sei fermato all’improvviso, non è colpa mi-” fu interrotto dalla mano di Primo che gli tappò la bocca e gli fece segno di stare in silenzio. Il fruscio si stava facendo più insistente. I due si guardarono per un breve attimo, allarmati, in attesa. Ancora con la mano sulla faccia di Settimo, Primo si spostò leggermente per avere una visuale più ampia. Il rumore si faceva vicino, sempre più vicino, i rametti scricchiolavano e i grilli smettevano man mano di frinire.
“Gurd” bofonchiò Settimo da sotto il palmo di Primo, allungando il dito verso la loro destra.
Primo seguì la direzione e la vide: una volpe stava trotterellando nel bosco, incurante della loro presenza. Il giovane uomo si distese, lasciando la presa su Settimo. Rimasero incantati a guardarla annusare il sottobosco, finché non li fiutò e con un guizzo sparì alla vista.
“Che carina” sussurrò il ragazzo occhialuto con una vocina piccola piccola, dando una gomitata a Primo al suo fianco, che si era già rimesso sull’attenti. Questi si scostò malmostoso. “Ne vorrei tanto una” continuò Settimo, sognante.
Primo alzò gli occhi al cielo. “Se non ci muoviamo, non avrai proprio un bel niente” sussurrò di rimando.
“Ah, vedi? Lo sapevo che ci eravamo persi” mormorò in preda al panico Settimo.
“Non ci siamo persi” si affrettò a sottolineare a denti stretti Primo. “Se solo due giorni fa qualcuno avesse fatto come gli era stato detto…”
“Ehi! Non potevo saltare il mio corso di cinese” rimbeccò Settimo. “Non si fa!”
“Ma c’è luogo e luogo, Settimo! Momento e momento!” incalzò Primo.
“Dici bene! Era il momento per il mio corso di cinese” concluse Settimo, incrociando le braccia.
“Spiegami tu a che cosa ci serve un corso di cinese in questa situazione” bofonchiò Primo, ma Settimo si era già lasciato distrarre da un piccolo insetto che gli si era posato sulla spalla.
“Bah” fece Primo, mulinando le mani nell’aria, e tornò a cercare la via.
Purtroppo Settimo aveva ragione: si erano persi, ma Primo era fiducioso che sarebbero riusciti presto a raccapezzarsi, senza destare troppi sospetti in giro.
Passarono un paio d’ore, in cui ogni piccolo sentiero e scorciatoia imboccati finivano con Primo che si fermava a leggere la mappa sdrucita e Settimo che gli sbatteva contro.
All’ennesima brusca fermata, Settimo prese in mano la situazione.
“Senti, così non concludiamo niente. Dobbiamo avvicinarci alla strada e chiedere aiuto a qualcuno”.
Primo dissentì. “E’ ciò che avevamo detto di non fare. E poi non parliamo neanche il tedesco, dato che tu parli il cinese.”
Settimo gli fece una smorfia, deviando la frecciatina. “Be’, almeno due lingue le parlo”.
Primo rispose con una linguaccia.
“Andiamo sulla strada, ti dico”. Incalzò Settimo. Primo si arrese.
Arrivati alla strada, dopo qualche attimo, videro in lontananza un uomo, forse un contadino, che camminava da solo nella loro direzione. I due si sbracciarono, correndogli in contro.
“Non ci posso credere” bofonchiò Primo esterrefatto, quando gli furono abbastanza vicino, mentre sul volto di Settimo nasceva la sua migliore espressione sardonica.
L’uomo dagli occhi a mandorla li guardò incuriosito.
“Mi scusi” chiese Settimo in cinese “ci potrebbe indicare la stazione dei treni più vicina?”.
L’uomo, stupito, rispose nella stessa lingua. “Certo. Andate dritto di là, ma siete parecchio lontani”.
“Grazie molte” rispose Settimo con un leggero inchino.
L’uomo li salutò e proseguì oltre, voltandosi a guardarli un’ultima volta, con aria visibilmente confusa.
Primo era rimasto a braccia molli e bocca aperta tutto il tempo.
“Non ci posso credere” mormorò di nuovo con voce strozzata.
“Te l’avevo detto!” rispose Settimo, giulivo, dandogli una gomitata.
“Un corso di cinese serve sempre!”.
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Racconto di Alice Macchi
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022
Spostò cautamente i rami che gli si paravano davanti, guardingo. Stava per fare un passo, quando qualcosa lo fece indugiare: un tonfo, un rumorio, un colpo di tosse.
“Accidenti” mormorò Primo. Si voltò, sporgendo il braccio destro con un movimento deciso, finché con la mano non fermò l’andatura tutt’altro che silenziosa del suo compagno di ventura.
“Quale parte, esattamente, di ‘non fare rumore’ non ti è chiara, Settimo?” sussurrò Primo, guardando l’altro negli occhi. Il compagno osservò confuso il dorso della mano di Primo che aveva arrestato la sua avanzata. “Guarda che sono silenziosissimo” rispose Settimo convinto e soave, riassestandosi gli occhialetti sul naso. Primo lo guardò con aria incredula. Rimase per qualche attimo fermo, indeciso se schiacciargli un alluce a rallentatore, per non fare altro rumore, o se proseguire nella ricerca della direzione. Sospirò, il più sommessamente possibile, lanciando un’ultima torva occhiata al compagno, e poi tornò sui suoi passi. Fece segno di seguirlo, sperando che i movimenti dell’amico sarebbero stati più discreti.
Zigzagarono tra gli alberi, finché un fruscio poco lontano non lo fece arrestare di colpo, con Settimo che rimbalzò sulla sua schiena. Primo si voltò con sguardo esasperato.
“Ehi” sussurrò Settimo “ti sei fermato all’improvviso, non è colpa mi-” fu interrotto dalla mano di Primo che gli tappò la bocca e gli fece segno di stare in silenzio. Il fruscio si stava facendo più insistente. I due si guardarono per un breve attimo, allarmati, in attesa. Ancora con la mano sulla faccia di Settimo, Primo si spostò leggermente per avere una visuale più ampia. Il rumore si faceva vicino, sempre più vicino, i rametti scricchiolavano e i grilli smettevano man mano di frinire.
“Gurd” bofonchiò Settimo da sotto il palmo di Primo, allungando il dito verso la loro destra.
Primo seguì la direzione e la vide: una volpe stava trotterellando nel bosco, incurante della loro presenza. Il giovane uomo si distese, lasciando la presa su Settimo. Rimasero incantati a guardarla annusare il sottobosco, finché non li fiutò e con un guizzo sparì alla vista.
“Che carina” sussurrò il ragazzo occhialuto con una vocina piccola piccola, dando una gomitata a Primo al suo fianco, che si era già rimesso sull’attenti. Questi si scostò malmostoso. “Ne vorrei tanto una” continuò Settimo, sognante.
Primo alzò gli occhi al cielo. “Se non ci muoviamo, non avrai proprio un bel niente” sussurrò di rimando.
“Ah, vedi? Lo sapevo che ci eravamo persi” mormorò in preda al panico Settimo.
“Non ci siamo persi” si affrettò a sottolineare a denti stretti Primo. “Se solo due giorni fa qualcuno avesse fatto come gli era stato detto…”
“Ehi! Non potevo saltare il mio corso di cinese” rimbeccò Settimo. “Non si fa!”
“Ma c’è luogo e luogo, Settimo! Momento e momento!” incalzò Primo.
“Dici bene! Era il momento per il mio corso di cinese” concluse Settimo, incrociando le braccia.
“Spiegami tu a che cosa ci serve un corso di cinese in questa situazione” bofonchiò Primo, ma Settimo si era già lasciato distrarre da un piccolo insetto che gli si era posato sulla spalla.
“Bah” fece Primo, mulinando le mani nell’aria, e tornò a cercare la via.
Purtroppo Settimo aveva ragione: si erano persi, ma Primo era fiducioso che sarebbero riusciti presto a raccapezzarsi, senza destare troppi sospetti in giro.
Passarono un paio d’ore, in cui ogni piccolo sentiero e scorciatoia imboccati finivano con Primo che si fermava a leggere la mappa sdrucita e Settimo che gli sbatteva contro.
All’ennesima brusca fermata, Settimo prese in mano la situazione.
“Senti, così non concludiamo niente. Dobbiamo avvicinarci alla strada e chiedere aiuto a qualcuno”.
Primo dissentì. “E’ ciò che avevamo detto di non fare. E poi non parliamo neanche il tedesco, dato che tu parli il cinese.”
Settimo gli fece una smorfia, deviando la frecciatina. “Be’, almeno due lingue le parlo”.
Primo rispose con una linguaccia.
“Andiamo sulla strada, ti dico”. Incalzò Settimo. Primo si arrese.
Arrivati alla strada, dopo qualche attimo, videro in lontananza un uomo, forse un contadino, che camminava da solo nella loro direzione. I due si sbracciarono, correndogli in contro.
“Non ci posso credere” bofonchiò Primo esterrefatto, quando gli furono abbastanza vicino, mentre sul volto di Settimo nasceva la sua migliore espressione sardonica.
L’uomo dagli occhi a mandorla li guardò incuriosito.
“Mi scusi” chiese Settimo in cinese “ci potrebbe indicare la stazione dei treni più vicina?”.
L’uomo, stupito, rispose nella stessa lingua. “Certo. Andate dritto di là, ma siete parecchio lontani”.
“Grazie molte” rispose Settimo con un leggero inchino.
L’uomo li salutò e proseguì oltre, voltandosi a guardarli un’ultima volta, con aria visibilmente confusa.
Primo era rimasto a braccia molli e bocca aperta tutto il tempo.
“Non ci posso credere” mormorò di nuovo con voce strozzata.
“Te l’avevo detto!” rispose Settimo, giulivo, dandogli una gomitata.
“Un corso di cinese serve sempre!”.
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Racconto di Alice Macchi
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022